La psicoteramerda: LA TACCOLA.

“Cara dottoressa Medea,

a 33 anni, mentre progettavo di avere un figlio, ho scoperto che il mio corpo aveva già deciso per me di costruire qualcosa.

Mi è stato diagnosticato un carcinoma duttale infiltrante al seno, ho perso tutti i capelli, più tante altre cosette che il cancro fa al tuo corpo. Io che con questo corpo non ci sono mai andata d’accordo, adesso più che mai faccio fatica a riconciliarmici, a riconoscerlo come il mio, a volergli un po’ di bene.

Ammiro le donne che partecipano con entusiasmo al Body Positivity Challenge, le sostengo, credo fermamente nel loro atteggiamento.

Io che non pubblico mai una mia foto dalla diagnosi, che a 20 anni mi facevo accompagnare al bagno dalle amiche perché mi vergognavo del mio corpo, anche quando attirava sguardi di desiderio.

Io che 5 anni dopo la prima diagnosi scopro che il mio cancro ha metastatizzato alle ossa. E questa volta non passerà. E ancora una volta devo stravolgere tutti i miei piani, tiro fuori i sogni da dove li avevo conservati e li lascio al vento.

Ancora una volta questo corpo fa di tutto per non farsi amare.

Mi riorganizzo. Mi invento una nuova vita, mi do nuovi obiettivi. Ma ora sento che in questa riorganizzazione devo far rientrare anche il mio corpo.

Da dove partire?”

Cara amica, sarò sincera. Quando mi hanno parlato del Body Positivity challenge, sospettavo che avrebbe toccato tasti delicati pur essendo un progetto allegro e positivo, un po’ come quando vai al mare e te mangi mezzo chilo de insalata de riso, che tanto è leggera, e invece ci hai messo uova sode, würstel, tre tipi di salame, 4 di formaggio, sott’olio e maionese. Quella light. E alla fine stai sotto l’ombrellone a fare il pitone e a digerire per le successive 24 ore.

La maggior parte delle persone si convince che per amare il proprio corpo questo debba essere necessariamente magro, o sano, ma non è così. Il nostro corpo è un’evoluzione meravigliosa, non solo la sciocca consolazione di chi si dice “almeno sono bella dentro”, perché (parlamose chiaro) la verità è che siamo belle pure fuori.

Sempre.

Ti parlerò quindi di un uccello: LA TACCOLA.

La taccola è una specie di corvo, meno colorata della gazza, non grande come le cornacchie; non è vistosa come un pavone, non è infame come er gipeto, non è equilibrata come il pinguino.

Ma la taccola ha una particolarità unica. Il volo.

Di solito, gli uccelli volano usando le correnti per stancarsi meno. Volano perché devono, basta pensare al piccione che mi ha attraversato davanti sulle strisce, l’altro giorno. Quando possono, gli uccelli non si stancano.

E invece, la taccola vola per volare. Gioca con le correnti, si migliora col tempo, impara acrobazie, virate, picchiate. Balla con la furia del vento, mai schiacciata, adattandosi alla violenza dell’aria con grandi movimenti delle ali o con impercettibili inclinazioni delle penne.

La taccola impara, perché è un animale superiore. Noi, che in confronto a lei siamo come il fratello sfigato del gipeto, ci mettiamo molto di più.

I venti della nostra vita ci picchiano forte, prima che impariamo a sfruttarli per le nostre evoluzioni.

Perché ti dico questa cosa, amica?

Perché puoi scegliere se camminare per strada come un piccione, meglio noto come IL RATTO DEI CIELI, oppure imparare a usare il tuo corpo in una furia di gioia e vento, come la taccola.

Ci vuole tanto.

Magari qualcuno non ti noterà, ma non devi farlo per quello. Devi provare a farlo per provare l’estasi del volo, per sentirti nel tuo corpo qualsiasi forma esso abbia. Chiedi pure a mio cognato come ha fatto.

Amica, cerca la tua corrente, impara un volo che sarà bello perché unico, anche se imperfetto, anche in picchiata o in un breve stallo a mezz’aria.

Vola, amica.

E famme sape’.

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