Gaia

Cara Medea,

probabilmente il mio messaggio è off topic e forse lo è anche la mia presenza su questa pagina, visto che la mia unica figlia non c'è più. Ma nonostante tutto io continuo a sentirmi mamma.

Ho 2 problemi, uno in particolare che non mi permette di andare avanti: 1) sono passati 12 anni da quando la mia Gaia è volata in cielo. I primi 2 anni li ho passati in un letto a guardare il vuoto o al cimitero sulla sua tomba. Poi finalmente ho deciso di farmi aiutare, e dopo anni di farmaci e terapie sto imparando a convivere con questo dolore. Ma non appena mi scopro a sorridere o ridere, o a provare anche solo per un attimo qualcosa che si avvicini anche solo lontanamente alla serenità, mi autopunisco immediatamente per i sensi di colpa. Non riesco a contemplare che si possa essere sereni dopo la morte di un figlio, e penso (stupidamente, lo so) che Gaia soffrirebbe se mi vedesse ridere, e penserebbe che l'ho dimenticata.

Razionalmente so che non è così, ma emotivamente non riesco a pensare e fare diversamente.

Di questo ne ho parlato a lungo in terapia, ma, come vedi, senza risultati.

2) Il secondo problema non mi condiziona la vita, ma è sicuramente motivo di fastidio: spesso mi capita che persone che non mi conoscono mi chiedano "E tu hai figli?". Lo so, sarebbe molto più semplice dire di no, ma non ce la faccio, non ce la faccio, mi sembrerebbe di tradire Gaia, di rinnegarla. E allora rispondo con l'unica frase che riesco a pronunciare "Sì, una in cielo", confidando nel buon senso dell'interlocutore e sperando che si fermi lì. Speranza mal riposta, perché quasi sempre la domanda successiva è "E non hai provato a farne altri?". Perché certo, i figli sono intercambiabili. E quando rispondo. Quando rispondo che non ci sono le condizioni, che gatti e nipoti me li faccio bastare, arrivano le perle di saggezza: una donna senza figli non è una donna completa, vuoi mettere l'amore per un figlio con quello per un nipote, tu che sei stata mamma come fai a non volere altri figli. Ed io, famosa per la mia lingua biforcuta, per le mie risposte al vetriolo, per la mia innata capacità di mandare affanculo con ironia che manco te ne accorgi, quando si parla di Gaia mi blocco e l'unica cosa che riesco a farfugliare col magone è "Io sono ancora mamma, lo sarò sempre", ma vorrei tanto riuscire ad avere la lucidità di dare risposte sferzanti a domande cretine, e se te ne viene in mente qualcuna è più che gradita.

Se poi riesci a trovare le parole giuste, a toccare le corde giuste anche per far sì che io possa allontanare quel senso di colpa che non mi fa tornare a vivere, te ne sarò grata per sempre, perché al momento la mia è solo sopravvivenza.

Con affetto,

Roberta

Cara amica. Cara mamma.

Non esiste una parola per chi perde un figlio, qualsiasi età abbia. Se ti muore un genitore, sei orfano. Se ti muore il partner, vedovo o vedova. Ma non esiste nella nostra lingua una parola che indichi l'orrore più grande, perché è un orrore che non si nomina, al massimo si sussurra.

E poi, come dici tu, sei madre. Lo sei stata, lo sei ancora. Lo senti.

Una donna è madre anche senza figli, che li abbia perduti o che non li abbia mai potuti o voluti avere. È madre nel senso che la sua maternità si esprime e si esprimerà con mille sfaccettature diverse, ogni giorno. Di' alla gente che si permette di entrare nel tuo dolore che tu non "sei stata" madre, tu lo sei ancora, e il tuo cuore e la tua vita sono pieni d'amore per tua figlia, la tua unica figlia, e comunque sono anche ricchissimi cazzi tuoi.

Non ho una formula magica per farti smettere di sentirti in colpa, e il perché lo dici anche tu, perché questa colpa che senti travalica la razionalità, è la colpa di chi avrebbe preferito morire di fatto 12 anni fa.

Ognuno ha la propria percezione del dolore.

Non sono nessuno per dirti che devi smettere di sentirti in colpa, perché rispetto troppo il tuo dolore per dirtelo. Però penso che, forse, un giorno ti sveglierai e il senso di colpa se ne sarà andato, lasciando intatto il ricordo di tua figlia, senza appannarlo più.

Per la gente e i suoi commenti, cosa posso dirti? Che intanto un bel VAFFANCULO non fa male a nessuno, e ha anche uno scopo educativo.

Semplifichiamo. Alla domanda "e non hai provato a farne altri" rispondi, col massimo della serietà:

"E tu hai mai provato a farti un clistere di sabbia e colla?".

Di solito è una domanda che scoraggia anche i più invadenti.

Cara amica, tu rimani qui con noi, perché questo è il tuo posto. Noi vogliamo qui te e il ricordo di Gaia, vogliamo esserci quando verrà il giorno in cui ridere non ti farà più male, perché succederà, e te lo dice una che crede solo nel potere salvifico della risata. E allora ogni risata non sarà contro Gaia, ma per lei. Per onorare la sua vita nel modo migliore possibile: vivendo la tua.

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